Si è definito con qualche ragione “un uomo fortunato”. Prima fascista, poi comandante partigiano col nome di Ulisse, giornalista, uomo politico e scrittore che ha colto successi in tutti i campi. Amico di poeti, di registi, di pittori, di personalità di rilievo del Novecento, ha conosciuto Mao e Aragon, Éluard e Picasso, la Pasionaria e Neruda. Ha raccontato le angosce di Cesare Pavese e l’umanità di Giuseppe di Vittorio, ha saputo interpretare i suoi “uomini dell’arcobaleno” e confessare apertamente inquietudini esistenziali, politiche e persino fisiche. Per quanto colpevolmente astemio (ma già Togliatti gli aveva detto che essere astemi non è reato), è rimasto per ogni istante della vita figlio di contadini di Vinchio.